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Pensieri

Mascherine

  • 18 Aprile 202018 Aprile 2020
  • da giorgiogiasir

Mi sembra di camminare tra centinaia di chirurghi. Ma poi, no, osservo meglio:
non sono professionisti. Anzi, questa è gente che vorrebbe evitare un ospedale il
più possibile. E c’è di tutto. Nelle vie cittadine, l’ordinanza ministeriale prevede
l’obbligo di indossarla e tutti si sono attrezzati. Mi fa un po’ sorridere questa
obbedienza e mi intenerisce la nostra accettazione improvvisa di regole nuove.
Immagino dettate dalla paura. Di venir sanzionati, al più, non di ammalarsi.
Così osservo gli sforzi messi in campo da ognuno, per poter girare tranquillo.
Qualcuno usa la carta da cucina, qualcuno il filtro, giudicato “egoista “.
Qualche anziana signora si arrangia col foulard di Kenzo, resuscitato da un cassetto,
fuori moda ma perfetto per la bisogna.
Chirurgiche, sbilenche, fatte a mano o assurde, le mascherine oggi sono obbligatorie.
Vengo incuriosito da una specie di hippy con la barba lunga, che ostenta sul viso un
telo di garza indiano, con il mantra OHM stampigliato all’altezza della bocca.
Vedo fiori stampati sul cotone, simboli della pace o teschi su fondo nero.
Sembra una moda, più che una necessità. Di nuovo esce l’individuo, con le sue caratteristiche,
che sfrutta questa novità per esibire la propria personalità.
Io-diverso-da-te.
E così sul web vedo la blogger Ferragni, che si sforza di sorridere sotto
la maschera fashion, o il cantante Vasco Rossi che ci rinfresca la memoria
sui movimenti femministi e i loro simboli.
Ma che sta succedendo?
Mi sembra una richiesta di aiuto, questo continuo, inesorabile volere, a tutti i costi, apparire.
Chi c’è dietro la maschera? Hai paura? Di cosa?
Di sparire, di non essere riconosciuto, di rimanere solo?
La tua costante presenza sui social media ha fatto già i suoi danni.
Se non appari, non esisti.
E come puoi apparire, nella vita reale, col viso coperto?
Capisci forse, appena sotto pelle, lo stato d’animo della donna nel mondo musulmano?
Coperta, nascosta, dimenticata,
cancellata, lei non esiste.
Ma non importa, vero? Però oggi vediamo tanta esibizione, filtri, materiali,
sorrisi e Batman o Superman, per scacciare subito via quell’idea.
Quella materializzazione del “numero” umano, tutti uguali, coperti,
anonimi, massa, popolo informe, gregge belante da indirizzare con la forza verso l’ovile.
Non possiamo ribellarci, ovviamente.
Non ne abbiamo la possibilità e neppure l’informazione ci sta aiutando a riordinare i pensieri.
Così ci consoliamo sul web.
I “gruppi”. Molto utili, in questo periodo:
aiutano a sentirsi meno soli, a confrontare le idee, a sfogarsi un po’,
a cambiare, forse, qualche opinione. Così, è tutto un fiorire di “oggi mi hanno sanzionato”, e giù duecento commenti.
Oppure “posso fare questo o quello”, e decine di consigli o recriminazioni.
Meno soli, meno soli, “help me if you can, i am feeling down …”,
cantavano i Beatles. Tutti sono preoccupati di sparire, di essere dimenticati,
abbandonati, soli.
Appena dopo 2 mesi di quarantene e presìdi obbligatori,
oggi finalmente qualcuno si è ricordato dei sordomuti.
Il loro linguaggio dei segni comprende pure la comprensione del labiale che, con la mascherina, diventa impossibile.
Un taglio con le forbici, quindi, alla mascherina, in corrispondenza con la bocca,
e copriamo il “buco” con la plastica trasparente.
Una pratica idea. Ma sono già passati due mesi.
Nessuno ci aveva pensato.
Niente cuoricini, fiori, Batman, Simpson, qui.
Pensiero e solidarietà per gli altri.
Dove sei?
“Help me get my feet back on the ground”, cantavano i Beatles.
“Won’t you please, please help me?”

L’anonimo artista della battigia

Pubblicato su:
“Brezza di mare”
il 18/04/2020

Racconti

La favola della ragazza immagine

  • 23 Gennaio 201921 Aprile 2019
  • da giorgiogiasir

 Oh ragazza dalla apparenza perfetta,
il tuo viso angelico e le tue linee impeccabili rubano il fiato.
Nel tuo silenzio interiore sprofondano le tue vittime…
Sprofondano fino a sopperire asfissiate da quel’ atroce silenzio…


 Ed e lì che nel mentre la tua vittima batte i suoi ultimi spasmi
prima di soccombere anche lui alla sua vuotezza,
che si può intravedere in una piega dei tuoi abissi il tuo cadavere…


 Una bambina con un palloncino stretto nella mano sinistra,
con ancora un velo di sorriso trapelare da quelle gote rosse
stampate sul viso, una bambina tenera e paciosa,
con qualche chilo di troppo…
Quel chilo che di natura ha il bruco per divenir farfalla,
ad indicare la libertà, la felicità e la tua sanità…
Lì fermo e senza vita il tuo bruco,
che dentro di se custodiva ciò che avrebbe fatto di te
una donna e forse un giorno una madre,
dopo l’esser sbocciata in un fiore raro e pieno di profumo,
intenso e soave come il pane genuino che ti inebria la mattina….


 Ma ora di tutto ciò c’è solo il guscio di farfalla…
Un guscio vuoto, senza sostanza, senza scopo…
Se non quello di mietere altre vittime.
Tu fosti la prima…
« Come ti uccisero? »  
Dimmi or ora, tra i miei ultimi istanti me lo puoi confidare…

…Lo sento:
Le risate sono assordanti,
stanno in cerchio e cantano in coro:
«Sei cicciona! Sei cicciona!»
… Più in la sta passando il ragazzo di cui ti eri innamorata…
Per la prima volta avevi sentito battere il tuo cuore per qualcuno.
Lui si ferma, ti guarda, sorride annuendo al cerchio senza pensare,
e se ne va…
Tornando a giocare a calcio con gli altri bambini…
I tuoi occhi si pietrificano…
e tutto quel “rancore” inizia a scavarti dentro la carne,
senza lasciar trapelare alcun minimo senso di cedimento agli altri:
No… Quella era la tua vendetta!
Quello era il loro buco nero che prendeva forma in te.

 Passò del tempo…
I tuoi genitori piangevano ogni chilo della tua scomparsa
e ad ogni chilo tu scomparivi sempre di più dentro di te…
Eri bella.
Ai tuoi 13 anni lo hai fatto innamorare,
poi lo hai lasciato dicendogli che non era niente di importante per te…
Vestivi giorno dopo giorno sempre più provocante ,
volevi emergere, apparire, e più ti guardavano più rafforzavano in te
la tua convinzione che non ti avrebbero mai apprezzata
per quello che eri.

 Ora eri, perché sembravi qualcosa che piace senza un perché.

 Poi arrivò quel giorno…
Quel giorno che il padre della tua amica ti riaccompagnò a casa…
Ed è in quel giorno che ti assassinarono…
Ma tu lo vivesti come una complice:
non ti ribellasti· Un segreto,
una morte di una parte scomoda che non poteva
andare d’accordo con la tua immagine…
Accettasti la tua violenza,
tutto morì in silenzio dentro il tuo abisso
che divenne infinito…

 L’ultimo ossigeno rimasto mi ritorno agli occhi:
guardai per un ultima volta la bambina…
Mi uscì una lacrima, che si sciolse nei tuoi abissi…
E ad un tratto come fosse uno spirito, la bambina apri gli occhi!…
Si avvicino e mi diede il palloncino che custodiva
gelosamente nella mano…
Grazie a lui risalì da quel abisso e respirai di nuovo…
Ero ancora vivo, ero ancora io…

 Ora, io non potei salvare la ragazza…
Lei oramai era divenuta la sua stessa trappola…

 Ma quando vedo i bambini,
gli racconto che dono prezioso è vivere la loro infanzia
senza dar troppo peso ai giudizi altrui…
Perché la bellezza sta dentro di noi…
Ed è qualcosa di prezioso, da custodire e far crescere…

 Quando incontro dei bambini divento anche io “bambino”
per la seconda volta e gioco con loro,
osservando i loro occhi e preservando il loro cuore…
Perché il cuore dei bambini e sacro, e come tale,
va custodito e protetto.

Giorgio Giasir
29/01/2018

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