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Pensieri

Arte rinnegata

  • 3 Settembre 20203 Settembre 2020
  • da giorgiogiasir

Sottopasso vicino alla ferrovia, passando inquadro delle figure leggendarie che raramente incontri a lavorare di giorno, sono dei writers, uno sta passando il rullo su un vecchio graffiti per preparare la sua tela da disegno, l’altro ha già iniziato la sua opera. È già tutto indaffarato a prendere misure e dar forma al suo progetto su quel muro sotterraneo.

I writers… Mi hanno sempre affascinato. Gli artisti più ribelli di tutti i tempi. Oggi 2020 continuano imperterriti a tramandare lo spirito degli anni 90′. Comprano vernice, bombolette, pennelli, cartoni e taglierini e progettano la loro arte, prima in piccolo, poi in medio formato e poi finalmente ricostruiscono il loro creato in grande, quando finalmente hanno trovato il tanto ricercato muro da disegno. Il muro che verrà impregnato di arte rinnegata, arte clandestina, arte incompresa, arte sconosciuta. Sì, perché pochi, pochissimi conoscono nomi e opere di questi artisti. È una cultura di nicchia, diciamo una cultura del mestiere… Chi si fermerà a guardare quelle opere per qualche istante, con la coda dell’occhio, rilevando tracce di colori anomali per quel muro e facendo arrivare dunque il cervello alla deduzione: « Ah, ma guarda: c’è un graffiti… »?

È proprio per questo che queste creature mitologiche mi affascinano. Mi ricordano un altra figura mitologica: ” i ricercatori di verità” che seppur sanno che nessuno spianerà loro la strada, seppur la maggior parte di quelli che troveranno lungo il cammino verso la verità, cercheranno di cancellare ciò che hanno fatto, e di dissuaderli, seppur l’altra metà li deriderà, non capendo quello che stanno facendo, loro continueranno a cercare, continuando a disegnare su una tela semi-invisibile il meraviglioso graffiti della ricerca della verità, che sovrapponendolo sulla nuda realtà darà una percezione totalmente diversa a quel che fino ad allora si riteneva noto, ed aprirà nuove strade verso l’inesplorato.

Chi conosce i nomi? Una comunità di nicchia o certe volte nessuno al di fuori del ricercatore solitario, che da qualche parte nel mondo, offre una tela agli occhi di un interlocutore, che se si soffermerà qualche istante penserà: « Ma io non ci avevo mai pensato di osservare questa problematica da questo punto di vista , adesso prende tutto un’altra forma! »

Giorgio Giasir
16/08/2020

Racconti

Palindromo

  • 14 Agosto 202014 Agosto 2020
  • da giorgiogiasir

«Sono qui mamma, mi vedi?»

Non staccare lo sguardo, ho bisogno che mi guardi, oggi sto varcando la porta della 1a elementare, sarà facile direte, ma non lo è per me che soffro di asma e allergia, e che per questo sono stato pochissimo all’asilo.

 Io e mamma fino ad oggi siamo stati inseparabili, lei c’era sempre, nei momenti di gioco, in quelli di
apprendimento, in quelli del cibo, con merende volanti sopra cucchiai che si trasformano in aeroplani, nei momenti
delle favole della buonanotte, con storie graziose e piene di fantasia che mi piacciono tanto e mi fanno dormire
tranquillo e sicuro…

 Ed ora siamo qui su questa porta ed io non voglio entrare.

«Rimani qui. Guardami dietro la finestra ok? Resta lì.»

 Entro in classe, tu ci sei dietro la finestra seduta sul marciapiede, sono più sereno, decido di uscire per salutarti un’altra volta, la maestra mi accompagna un attimo, io ti do un bacio, gli altri bambini guardano dietro la finestra incuriositi, decido di farti andare, provando un germoglio di vergogna nello sguardo degli altri bambini. Anche se io sono il più piccolo in classe, ho solo cinque anni, ho fatto la Primina.

 Che dolce la mia mamma, ha aspettato che mi ambientassi e non mi ha rimproverato capendo il mio bisogno di lei per quei minuti interminabili…

Sono qui mamma, mi vedi?

«Sì, è quello l’edificio ne sono certo, sali sbrigati!»

 Mannaggia, mi spiace non poterla accompagnare dentro, con questo virus tocca aspettare fuori. Tu viaggi piano, con rassegnazione verso le tue gambe che non ti accompagnano nelle corse all’ultim’ora che eri abituata a fare… Purtroppo questa malattia ti condiziona, ti cambia. I miei occhi non vogliono accettare, e quindi ti guardo come fossi una figlia, da spronare… Sì, purtroppo io non ho la pazienza che avevi tu, né il sorriso, né la clemenza… O forse sì? Forse tutto questo è solo la paura di accettare che le cose cambiano, che io non sono più l’io che sta entrando a scuola, ma ora sei tu. Ed io non sono pronto, non mi sento pronto a guardarti con gli occhi tuoi. Vorrei tanto però! Vorrei assopire questa paura, ed in un gesto, in una carezza, in una parola, riuscire a comunicarti tutto l’amore che ho per te, per chi sei stata, per quanto mi hai dato, per quanto hai saputo essere la mamma che tutti avrebbero desiderato. Ci provo, provo a dimostrare, ma il mio tentativo fallisce. Tu non te ne accorgi, non lo fai per indifferenza o per cattiveria, non te ne accorgi e basta. Non metto in conto questa malattia che ti cambia…

Vorrei esser come sei stata tu, vorrei avere la tenacia di una madre…

«Ciao mamma, allora? Che ti hanno detto? Come è andata la visita? …»


Giorgio Giasir

11/08/2020

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